Scrivere per sè stessi o per gli altri? Una domanda inutile
- Bibi Morgen
- 16 lug 2017
- Tempo di lettura: 3 min
Questa è una domanda che ha a che fare col mondo degli scrittori in ambito squisitamente tecnico e intrinseco allo stesso mondo e all’animo stesso dello scrittore. Una domanda che ha a che fare direttamente con l’osservazione della nascita del processo che rende tale uno scrittore. Inutile dire che la scrittura è un’esigenza che parte sicuramente dall’interno, non penso che un vero scrittore abbia deciso ab origine di diventarlo, in quanto si tratta di un’abilità che si manifesta col tempo e con l’acquisizione dei primi elementi del linguaggio. Se vostro figlio, imparate le prime parole, scrive una filastrocca con rime che possono anche risultare elementari, allarmatevi, è un individuo destinato alla sofferenza. Inoltre nessuno dice “voglio fare lo scrittore” senza prima aver avuto conferme riguardo quest’abilità. Molte delle cose che qui scrivo sono dettate sì dalla mia esperienza personale, ma anche dalla nascita e la costatazione del talento di persone che ho avuto modo di conoscere. Come dicevo, la scrittura nasce da un impulso interno dettato dalla voglia di comunicare delle immagini, da quella scintilla che fa desiderare al sensibile animo dell’individuo, di raccontare dettagliatamente una visione, un sogno, un’immagine pervenuta per misteriose vie nella mente, attraverso le sensazioni che ne pervadono il corpo scuotendolo a tal punto che non possono semplicemente scorrere, ma che per chi le sente devono essere comunicate . In altre parole si tratta di un impulso a più direzioni: verso l’interno, dall’interno verso l’esterno, dall’esterno verso l’interno, per giungere nuovamente all’esterno, per cui anche se un’immagine concretizzata in parole, o un racconto di un’esperienza vissuta o immaginifica possono restare anche sconosciute a tutti, resta il fatto che l’impulso alla comunicazione è ciò che fa di uno scrittore un vero scrittore. Non consideriamo in questa sede la vanità di molti individui che avendo constatato una buona capacità di comunicazione, per darsi un tono, o perché fa figo presentarsi con un edonistico “sono uno scrittore”, decide di mettere nero su bianco. Il più delle volte (con la possibilità di essere smentiti) in quei casi ne esce qualcosa di ridondante e (per dirla alla barocca) fine a sé stessa. Qui entra in gioco quel dialogo interiore che fa il più delle volte di uno scrittore, anche un filosofo : un individuo che dunque si interroga circa questioni che possono essere di interesse vario o anche inezie che possono far sorridere, ma che in ogni caso hanno una funzione: disvelare, comunicare, raccontare, qualcosa ad un pubblico che può essere recettivo da comprenderlo o anche passare innanzi proprio come davanti a uno scritto del genere “onde dorate” che comunque ha avuto il suo seguito, tant’è che viene ancora oggi letto nelle scuole come esponente di un genere che si muove solo per sé stesso o al nutrimento di un destinatario sciatto alla speculazione che richiede immagini servite comodamente seduti in un salotto senza lasciare molto spazio alla riflessione, un po’ come farebbe oggi uno sceneggiato (o come odiernamente detto “fiction”) passato alla televisione. Senza discriminare queste forme d’arte vogliamo solo sottolineare la varietà e la molteplicità degli impulsi che hanno destinazioni differenti, ma che fanno comprendere e discernere fino in fondo la serietà di un impulso alla scrittura da un altro. Molto diverso è dire “faccio lo scrittore” che lascia passare un messaggio, “scrivo non perché lo voglia, ma perché non ne posso fare a meno”. Dunque scrivere per sé stessi o per gli altri? Entrando nel merito penso si tratti da un impulso che nasce solo, è solo dopo che si sviluppa. Ad esempio nella stesura di una storia non si può che partire da sé stessi, è solo successivamente che il testo viene rivisto e corretto per una fruizione esterna in modo che possa essere compreso per chiunque lo legga o per il pubblico verso cui è destinato. Ciononostante siamo aperti ad altre riflessioni, in quanto trattasi di speculazioni che hanno a che fare con la visione sacra di un’arte, un punto di vista quasi spirituale di una propensione che nei veri talenti ha una dimensione fisiologica, di necessità.
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