Questa non è una dannata recensione.(Nemmeno d’annata.)
- Bibi Morgen
- 16 lug 2017
- Tempo di lettura: 4 min

Immergersi in un concerto: Verdena, Tour Endkadenz vol.2 @ duel beat
Questa non è una recensione. Contenuto altamente di parte. Astenersi critichini. Aldilà dell’esattezza, dalle pretese, dal tecnicismo e dalle stronzate che ci rendono tristi e negativamente presi quando ascoltiamo musica. Io stessa avevo giudicato con troppa fretta un (doppio) album che merita non solo un secondo, ma anche un millesimo ascolto, (è impossibile comprenderne il valore al primo ascolto) senza comunque tralasciare il fatto che la sua dimensione ideale (che sembra strano dire per dei pezzi così cervellotici e studiati come quelli ai quali i Verdena ci stanno abituando) è quella live, o volendosi accontentare, con buoni supporti. [N.B: bisogna tener di conto che la scrivente è alla costante ricerca di dispositivi che possano garantire pulizia, qualità e fedeltà sonora.] AVVERTENZE: Se subodoraste in voi qualsiasi cattiva disposizione ai contenuti finora espressi, vi prego di non continuare la lettura, se invece riusciste ad arrivare fino in fondo, fatemelo sapere, ma non c’è nessun premio.
Ottima l’opening act di Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion, chitarre-voce-tastiere ) i Verdena entrano e con un fulgido “hola” di Alberto Ferrari sembrano dare inizio ad un concerto già cominciato con “Cannibale”, improvvisa , potente all’inizio, (nonché prima traccia del disco “Endkadenz vol. 2”) si ammorbidisce via facendo quasi in segno di resa “consolami e non farmi male, consumerai ciò che rimane” poi di abbandono dopo l’assolo che rosicchiata la scorza iniziale sembra quasi non finisca mai, ci si perde e mentre si è lasciato del tutto il luogo in cui si è, tutto termina in un espediente già utilizzato precedentemente, ma più raffinato, il cui risvolto che porta all’esaurirsi è fatto di marce funebri con proclami di fiati stanchi e borbottanti, che terminano in dissolvenza di echi lontani. In un tempo inferiore ad un batter di ciglia segue la spettinata Fuoco Amico I, che come da testo incita al movimento “Dai balliamo un po’, tutti insieme!” scapocciamentata, allucinata “dentro al fumo ormai di cose che sai” e follemente confusa “grave capire è, che faccia ho” e con la pausa millimetrica che si conviene ad un disco tra una traccia e l’altra, parte la profonda e visceralmente sensuale Fuoco amico II (pela i miei tratti) confusa e distorta, ma coerente, sia come ritmo, che con la ripetizione ammiccante che incoraggia “Sciocco odiarsi, pela i miei tratti ed amami”d’altronde (anche se non si sa bene di che natura) si tratta pur sempre di un “omaggio” da un guerriero prossimo, forse, alla resa, ci si avvia alla conclusione con frasi urlate in modo distortamente rabbioso, e al culmine, una soleggiata chitarra ci prende per mano verso luminose spiagge d’inverno, cori ed in sottofondo sembra si percepisca, tra i riverberi, la voce di un uomo maturo parlare in altra lingua, presumibilmente inglese, si distingue “Magnum P.I.” sillabati motivetti no sense e la risata con cui si congeda l’uomo maturo, accompagna il motivo morente di fiati e corde mestamente pizzicate. Gli intro studiati non lasciano presagire che la prossima sarà “Nuova Luce” nemmeno il tempo di indovinare ed ecco che siamo catapultati in già precedentemente esplorati paesaggi sempre soleggiati, ma resi nettamente più freddi dal luminescente piano, come l’amore che arriva in sogno, correndo in notti buie tra gli alberi, facendoci poi assorbire da “Canos”, altro tuffo ancora più giù nella discografia, e gli alberi che ora sono “seven”, nella marea che nel frattempo è divenuta alta, e no a questo punto “non torneremo più”. Ed è “Dymo” a comprarci definitivamente il biglietto di sola andata. Inizia con un introspezione che chiede conferme, finisce con un giocoso su e giù “sciocco lirico”, di nuovo introspezione che termina con un “ lo si fa per difendersi” che fa intuire forse un’evoluzione nella scelta testuale dei verdena, sembrando addirittura spezzoni di conversazioni significanti, o storpiature del senso di frasi colloquiali. In bilico e sospesi tra piano e basi e lievi spari da film anni ottanta. “Vivere di conseguenza” somiglia ad una riflessione che culmina in un’illuminazione e nello straniamento totale piomba “Nova” con la sua oscura condanna. Tutte le canzoni storiche dei Verdena, suonate da quelli che oggi sono i Verdena, appaiono più profonde e armoniose, cresciute anche loro, come per “Luna” e “Ultranoia”. (successive nella posizione in scaletta della serata).Un’ ulteriore scossa data da “Colle Immane”, una scossa, sorda, sempre comunque ovattata, quasi da dance floor. Segue la solita “Muori Delay” [che ci sbalordiva preceduta dall’andante “Il Gulliver” come primo pezzo del tour di “Requiem” quando non era l’esplosiva “Don Calisto”] successivamente catapultati nel mondo da “mille e una notte, con cordate velatamente orientali, serpeggiante e misterioso, ma candido di “Identikit”. La maliconica e sofferente “Angie” che confusa in spasmi si consuma in giravolte di suono, sbattendo in terra improvvisamente. Sa di echi provenienti da ricordi lontani “Lady Hollywood” donna che negandosi, si pavoneggia nella foschia creata dalla cipria e dal profumo. “neve dentro al fuoco ormai sei, tornare da quel vuoto saprei”. Il prossimo pezzo “Nera visione” è uno dei gioiellini di questo doppio album. Manda in estasi quest’ eco di un presente sensuale, palpabile, migliorabile, positivo “ oh no non è più buio il cuore” che si chiude con un’appassionata dichiarazione “prova a restare, prestagli il cuore, credi non ha smesso mai” finendo in una sospensione che va sfumandosi. Nuove chitarre malinconicamente estive in “Puzzle”. Una “Badea blues” la cui lentezza viene enfatizzata dalla atmosfera live, e la parte finale è come una nenia estatica e ciondolante. “Un blu sincero” che forse però non rende abbastanza, ma che si fa perdonare dalla successiva “Caleido” energica e distorta, con tastiere di sospensione che aprono di poco gli squarci del cupo “faccio fuori gli dei”. Dopo “Luna”, “Ultranoia” e la lennoniana e dolcissima “Waltz del bounty”, il concerto dei verdena si chiude con la chiamata sul palco di Adriano Viterbini e l’esecuzione della cover “Bring it on home” di Sam Cooke, sicuramente una chiusura più che apprezzata.
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